Da un interessante articolo di repubblica.it
Plastica, tesori da salvare
“E` corsa contro il tempo
Un tempo si pensava fosse eterna, oggi sono evidenti i primi segni del degrado. Oggetti d`uso quotidiano e capolavori del design, tutti rischiano di andare perduti. Un progetto dell`Unione europea per correre ai ripari di GIULIA BELARDELLI
Plastica, tesori da salvare E` corsa contro il tempo
SOTTILE come un velo o dura come il marmo. Colorata, bianca, nera, duttile o inflessibile. Nelle sue mille varianti, la plastica è senza dubbio il materiale che ha dominato gli artefatti prodotti dall`uomo nell`ultimo secolo. Con i suoi pregi e i suoi difetti, questo materiale si è imposto come supporto per gli oggetti più vari, fino a diventare protagonista di opere d`arte e pezzi unici nella storia della creatività. Dalle Barbie ai lettori mp3, dai telefoni agli utensili della cucina siamo quotidianamente circondati da materiali plastici. Se fino agli anni Settanta si pensava alla plastica come a qualcosa di indistruttibile, oggi il suo tallone d`Achille è ben noto agli esperti di conservazione: la plastica, infatti, non solo non è immortale, ma subisce un processo di decomposizione tra i più insidiosi e difficili da arginare. Proprio per questo – cercare di salvare i “tesori di plastica” e rendersi conto per tempo dei primi segni di cedimento – da un paio d`anni scienziati di tutta Europa sono al lavoro al cosiddetto Popart Project, progetto finanziato dall`Unione Europea per la preservazione degli artefatti in plastica esposti in musei e gallerie.
“La degradazione della plastica è una bomba a orologeria”, spiega Yvonne Shashoua, ricercatrice di conservazione al National Museum of Denmark di Copenhagen. In termini molecolari, infatti, la plastica è costituita da polimeri, gruppi di molecole fatte di lunghe catene di carbonio. Nel tempo, i legami chimici che tengono insieme queste catene si rompono man mano che vengono attaccati dall`ossigeno o dai raggi ultravioletti, o semplicemente si indeboliscono per effetto del calore ambientale.
Le conseguenze di questi processi hanno lasciato un segno indelebile su oggetti risalenti al XIX secolo o all`inizio del XX, come le pellicole fatte di celluloide o gli artefatti realizzati in cellulosa acetata. “Per questo e altri tipi di plastica – spiega ancora la ricercatrice – la decomposizione è autocatalizzata: quando i legami iniziano a rompersi, rilasciano degli agenti chimici che attaccano le catene stesse dei polimeri. In sostanza, si tratta di un meccanismo autodistruttivo difficile da bloccare, una volta avviato”.
Una strategia per arginare il problema consiste nell`aggiungere composti anti invecchiamento capaci di bloccare la degradazione fin dalle sue fasi iniziali. Alcune di queste sostanze agiscono come degli schermi solari che proteggono le catene da ossigeno, luce e raggi ultravioletti. Spesso, però, gli additivi sono costosi e vengono centellinati in fase di manifattura. Oppure possono perdere la loro efficacia, lasciando “scoperto” il polimero e aprendo così la strada alla degradazione.
“Una delle difficoltà maggiori per la conservazione è la varietà dei modi in cui diversi tipi di plastica si degradano”, sottolineano i ricercatori del Popart Project. “Ciò che funziona bene per preservare un materiale può rivelarsi completamente deleterio per un altro”. La maggior parte delle plastiche moderne, ad esempio, decade principalmente a causa delle reazioni con l`ossigeno, ed è quindi più protetta se sigillata in un`atmosfera priva di ossigeno. La cellulosa acetata, invece, necessita di un trattamento diametralmente opposto: senza una ventilazione adeguata, i vapori di acido acetico che originano dall`invecchiamento del materiale ne accellerano il processo di decadimento.
Tra gli strumenti più innovativi utilizzati dal gruppo del Popart Project c`è una pistola ai raggi infrarossi utilizzata per misurare la composizione fisica degli oggetti in plastica. La pistola, denominata Phazir in virtù della sua somiglianza alle armi tipiche della saga di Star Trek, è uno spettrofotometro che emette radiazioni nella lunghezza d`onda dell`infrarosso e, registrando la radiazioni assorbite dall`oggetto, è in grado di stabilire con precisione la composizione dell`oggetto analizzato. “L`obiettivo – spiega Matija Strlic, una delle ideatrici della Phazir – è fornire ai restauratori un mezzo non invasivo capace di valutare i diversi materiali plastici”.
Ma a quale pro? Lars Christensen del National Museum of Denmark di Copenhagen non ha dubbi: “Ogni generazione scrive la propria storia anche attraverso gli oggetti che lascia ai propri successori. Senza di essi sarebbe molto difficile per le generazioni future interpretare la nostra cultura”. D`altronde come negare che dietro le Barbie, i primi televisori degli anni Cinquanta o i gli ultimi ritrovati della tecnologia non si nascondano i sogni e le speranze di intere generazioni?
(24 giugno 2010) “
Concordo sul conservare le opere d’arte, mi preoccupa però un’eventuale pozione chimica che se commercializzata produrrà danni all’ambiente probabilmente più gravi di quanto già non faccia la plastica da sola.
Dopo ci mangeremo pure la slappatura di agente chimico?
Magari scopriamo che ci conserva l’intestino!!!
Cagheremo duro anche sul punto di morte… siiii!!!!
Scusate la parentesi volgare, è il mio modo per ridere su quello che non conosco.
Kissà Klimt con cosa l’hanno slappato?
Forse il sorriso della Gioconda è il sorriso di una strafatta di slappature.
L’originale non era così.
Scusate di nuovo.
Consapevole del fatto che un veleno in più o uno in meno oramai poco cambia, mi piacerebbe però che l’unione europea spendesse meglio i suoi futuri soldi “verdi” e obbligasse le aziende a produrre roba almeno riciclabile.
E’ una bella ricerca con la pistola galattica capiremo meglio i nostri rifiuti.
Nella speranza che esista anche un’unione europea decente grazie per l’articolo